Dev'esserci stato un Carnevale anche il 12 febbraio di tanti anni fa, quando ero una bimba piccina che non andava nemmeno a scuola.
All'epoca avevo solo un'amica, Veronica, la mia cuginetta. Giocavo ogni giorno con lei, solo che a volte mi sentivo sola, almeno credo, perché altrimenti non mi sarei inventata un'amica. Ebbene sì, avevo la mia amica immaginaria, dai capelli rossi e corti. L'avevo trovata in un cartone animato di pallavoliste, ma non avevo scelto la protagonista, non Mila, ma Caori.
[Cercando la sua immagine da mettere ho scoperto che il suo nome si scrive con la K, ma io l'ho sempre pensata con la C e quindi nel mio cuore sarà sempre Caori con la C.]
Pare che le volessi molto bene, tanto da imbastire con lei lunghi dialoghi e giochi, tanto da lasciarle addirittura spazio nel letto accanto a me. Raccontano che quando mi infilavo nel lettone fossi molto attenta ai movimenti dei miei genitori, pretendevo che stessero a distanza, in modo da non schiacciare la mia amica.
Un giorno ho pensato che era giusto che anche lei avesse un compleanno, come me, come la Veronica. Non le ho scelto una data a caso, ma il 12 febbraio, perché quel giorno, in quell'anno che non ricordo quale fosse, era Carnevale e all'epoca andavo pazza per quella festa. All'epoca il martedì di Carnevale io e la Veri ci vestivamo e poi andavamo fuori a festeggiare, mentre Tommy ci scodinzolava intorno. Nel giro di cinque minuti ci alleavamo contro la sua mamma, la inseguivamo riempendole tutto il maglione e i capelli di coriandoli e stelle filanti. Ridevamo tutte. Io vestita da Cappuccetto rosso, la Veri vestita da Sissi e sua mamma che fingeva di correre, ma si faceva sempre acchiappare. Le ficcavamo i coriandoli fin dentro le mutande mi sa, ma lei non si arrabbiava o almeno non mi ricordo.
Da qualche parte magari, in mezzo alla schiuma e alle stelle filanti, c'era anche Caori, alla Veri io l'avevo presentata e, per quanto ne sappia, andavano anche molto d'accordo. Nel giro di poco tempo ci siamo inventate un gioco popolato da decine di personaggi di fantasia, un gioco che, come una telenovela, è andato avanti per anni, un gioco che custodiamo entrambe gelose nei nostri cuoricini di donne, ormai.
Caori comunque ha avuto un ruolo molto più importante di tutte le altre invenzioni, tanto che l'avevo eletta non solo migliore amica immaginaria, ma anche mio angelo custode. Mi sembrava dovessi averlo, un angelo custode.
Tanti anni dopo, nella mia classe del liceo, c'era un ragazzo con gli occhi chiari e decisamente alto. Era molto bravo a scuola. Quando avevo quattordici anni mi sembrava bastasse avere gli stessi voti per essere destinati a un futuro insieme. E io e Federico avevamo la stessa media. Io ero più brava di lui a matematica e a italiano, lui molto meglio di me a inglese e a chimica. Eravamo i secchioni della classe, si è capito subito, fin dall'inizio del liceo. I suoi occhi chiari mi avevano già conquistata, anche se praticamente non ci parlavamo e mi chiamava per cognome. La scintilla definitiva è scoccata quando ho saputo che era nato il 12 febbraio. Sentendo quella data mi è subito venuta in mente Caori. Federico festeggiava il compleanno lo stesso giorno del mio angelo custode. Se non era destino questo...
Tutto il mio innamoramento, che innamoramento poi non era, dev'essere durato qualche mese, presto mi sono accorta che lui non aveva niente in comune con Caori, pur condividendone il compleanno, così come non aveva niente in comune con me, pur avendo la mia stessa pagella. Quel suo essere taciturno non era sintomo di timidezza, come nel mio caso, ma più di presunzione. Non passava mai niente a nessuno nemmeno sotto tortura, a nessuno, tranne a me. Questo non perché mi volesse particolarmente bene, semplicemente perché potevo tornargli utile anch'io, magari, un giorno. Passava le estati in giro per il mondo, era sempre sicuro di essere il migliore di tutti, in tutto, era destinato a grandi cose e non ho mai capito se poi alla fine studiare gli piaceva oppure no. Quello che so è che poi un giorno ha smesso di chiamarmi per cognome, addirittura mi chiamava col mio nome e non gallina come chiamava le altre. So che insieme abbiamo fatto giochi matematici e partite di pallavolo. In squadra insieme eravamo pressoché imbattibili, più che altro era imbattibile la squadra dov'era lui, io c'entravo poco. So che la seconda prova della maturità l'abbiamo fatta insieme, passo dopo passo, vicini, attenti a far tornare gli stessi risultati. So che quando facevamo l'ascolto d'inglese eravamo vicini, in ordine alfabetico, e lui mi metteva il foglio con le sue crocette in mezzo. Perché poi, alla fine, ero diventata l'Elisa e non una gallina.
Federico non è mai stato il massimo della simpatia o della socievolezza, certe volte gli avrei menato perché proprio l'umiltà non sapeva dov'era di casa, ma altre volte mi dicevo che dovevo prenderlo come esempio, perché io di umiltà ne avevo anche troppa e facevo copiare sempre troppo, a tutti. Lui questo me lo rimproverava pure.
Ha ascoltato il mio orale alla maturità e mi ha detto che si era preoccupato quando avevo iniziato zoppicando nella mia materia preferita, storia. Pensava che la paura mi avrebbe fregato. Chissà se gli sarebbe anche piaciuto uscire da solo col voto più alto. Forse sì, forse non più. Quello di cinque anni prima sì, avrebbe gioito ad essere ufficialmente il migliore di tutti, ma quello di quel luglio di cinque anni dopo forse no. Quello lì sapeva che ci meritavamo le stesse cose. Almeno questo è quello che mi piace pensare.
Oggi Federico e Caori compiono ventitré anni. Uno è a Roma e magari tra qualche anno sarà incravattato chissà dove, all'estero forse. L'altra chissà. Forse gioca ancora a pallavolo.
Come tanti anni fa oggi, 12 febbraio, è Carnevale. La Veri non si veste più da Sissi e nemmeno io da Cappuccetto Rosso. Tommy è morto, ma c'è Argo, suo figlio, che è un gran giocherellone anche se ormai si avvicina ai dodici anni.
Il prossimo anno nello stesso prato dove giocavamo noi correrà la Giulia e io farò finta di scappare, ma mi lascerò acciuffare e mi farò impiastricciare i capelli di schiuma e mi farò riempire il maglione di coriandoli e rideremo insieme. E io sono sicura che, in mezzo alle risate mie e della Giulia, sentirò l'eco lontano di una risata che adesso posso ascoltare solo riguardando un vecchio filmino di Natale, quando io avevo cinque anni e la Veri tre.
Ogni Carnevale che arriva e che passa ripenso a quei Carnevali lì, a quei coriandoli che restavano impigliati nei fili d'erba per giorni e giorni, alla mamma della Veri che a un certo punto smetteva di toglierseli dai capelli perché noi tanto glieli ritiravamo.
Quando penso a lei mi arrabbio, perché i tre anni di malattia mi hanno fatto vedere un volto che non era il suo. E mi arrabbio perché a volte ho l'impressione che, come temeva Montale, la forbice del tempo abbia reciso il suo viso, quello di quando stava bene, dalla mia mente.
A Carnevale questo non succede.
A Carnevale il suo viso per magia mi compare davanti, sorridente, incorniciato da capelli neri e lunghi.
Forse è perché penso ogni anno a quei Carnevali lì che da un po' di tempo questa festa non mi piace più.
Questo è il primo anno in cui mi sono rimascherata dopo tanto, tanto tempo. E anche se non avrei voluto, in fondo in fondo sono stata anche contenta di averlo dovuto fare.

[Cercando la sua immagine da mettere ho scoperto che il suo nome si scrive con la K, ma io l'ho sempre pensata con la C e quindi nel mio cuore sarà sempre Caori con la C.]
Pare che le volessi molto bene, tanto da imbastire con lei lunghi dialoghi e giochi, tanto da lasciarle addirittura spazio nel letto accanto a me. Raccontano che quando mi infilavo nel lettone fossi molto attenta ai movimenti dei miei genitori, pretendevo che stessero a distanza, in modo da non schiacciare la mia amica.
Un giorno ho pensato che era giusto che anche lei avesse un compleanno, come me, come la Veronica. Non le ho scelto una data a caso, ma il 12 febbraio, perché quel giorno, in quell'anno che non ricordo quale fosse, era Carnevale e all'epoca andavo pazza per quella festa. All'epoca il martedì di Carnevale io e la Veri ci vestivamo e poi andavamo fuori a festeggiare, mentre Tommy ci scodinzolava intorno. Nel giro di cinque minuti ci alleavamo contro la sua mamma, la inseguivamo riempendole tutto il maglione e i capelli di coriandoli e stelle filanti. Ridevamo tutte. Io vestita da Cappuccetto rosso, la Veri vestita da Sissi e sua mamma che fingeva di correre, ma si faceva sempre acchiappare. Le ficcavamo i coriandoli fin dentro le mutande mi sa, ma lei non si arrabbiava o almeno non mi ricordo.
Da qualche parte magari, in mezzo alla schiuma e alle stelle filanti, c'era anche Caori, alla Veri io l'avevo presentata e, per quanto ne sappia, andavano anche molto d'accordo. Nel giro di poco tempo ci siamo inventate un gioco popolato da decine di personaggi di fantasia, un gioco che, come una telenovela, è andato avanti per anni, un gioco che custodiamo entrambe gelose nei nostri cuoricini di donne, ormai.
Caori comunque ha avuto un ruolo molto più importante di tutte le altre invenzioni, tanto che l'avevo eletta non solo migliore amica immaginaria, ma anche mio angelo custode. Mi sembrava dovessi averlo, un angelo custode.
Tanti anni dopo, nella mia classe del liceo, c'era un ragazzo con gli occhi chiari e decisamente alto. Era molto bravo a scuola. Quando avevo quattordici anni mi sembrava bastasse avere gli stessi voti per essere destinati a un futuro insieme. E io e Federico avevamo la stessa media. Io ero più brava di lui a matematica e a italiano, lui molto meglio di me a inglese e a chimica. Eravamo i secchioni della classe, si è capito subito, fin dall'inizio del liceo. I suoi occhi chiari mi avevano già conquistata, anche se praticamente non ci parlavamo e mi chiamava per cognome. La scintilla definitiva è scoccata quando ho saputo che era nato il 12 febbraio. Sentendo quella data mi è subito venuta in mente Caori. Federico festeggiava il compleanno lo stesso giorno del mio angelo custode. Se non era destino questo...
Tutto il mio innamoramento, che innamoramento poi non era, dev'essere durato qualche mese, presto mi sono accorta che lui non aveva niente in comune con Caori, pur condividendone il compleanno, così come non aveva niente in comune con me, pur avendo la mia stessa pagella. Quel suo essere taciturno non era sintomo di timidezza, come nel mio caso, ma più di presunzione. Non passava mai niente a nessuno nemmeno sotto tortura, a nessuno, tranne a me. Questo non perché mi volesse particolarmente bene, semplicemente perché potevo tornargli utile anch'io, magari, un giorno. Passava le estati in giro per il mondo, era sempre sicuro di essere il migliore di tutti, in tutto, era destinato a grandi cose e non ho mai capito se poi alla fine studiare gli piaceva oppure no. Quello che so è che poi un giorno ha smesso di chiamarmi per cognome, addirittura mi chiamava col mio nome e non gallina come chiamava le altre. So che insieme abbiamo fatto giochi matematici e partite di pallavolo. In squadra insieme eravamo pressoché imbattibili, più che altro era imbattibile la squadra dov'era lui, io c'entravo poco. So che la seconda prova della maturità l'abbiamo fatta insieme, passo dopo passo, vicini, attenti a far tornare gli stessi risultati. So che quando facevamo l'ascolto d'inglese eravamo vicini, in ordine alfabetico, e lui mi metteva il foglio con le sue crocette in mezzo. Perché poi, alla fine, ero diventata l'Elisa e non una gallina.
Federico non è mai stato il massimo della simpatia o della socievolezza, certe volte gli avrei menato perché proprio l'umiltà non sapeva dov'era di casa, ma altre volte mi dicevo che dovevo prenderlo come esempio, perché io di umiltà ne avevo anche troppa e facevo copiare sempre troppo, a tutti. Lui questo me lo rimproverava pure.
Ha ascoltato il mio orale alla maturità e mi ha detto che si era preoccupato quando avevo iniziato zoppicando nella mia materia preferita, storia. Pensava che la paura mi avrebbe fregato. Chissà se gli sarebbe anche piaciuto uscire da solo col voto più alto. Forse sì, forse non più. Quello di cinque anni prima sì, avrebbe gioito ad essere ufficialmente il migliore di tutti, ma quello di quel luglio di cinque anni dopo forse no. Quello lì sapeva che ci meritavamo le stesse cose. Almeno questo è quello che mi piace pensare.
Oggi Federico e Caori compiono ventitré anni. Uno è a Roma e magari tra qualche anno sarà incravattato chissà dove, all'estero forse. L'altra chissà. Forse gioca ancora a pallavolo.
Come tanti anni fa oggi, 12 febbraio, è Carnevale. La Veri non si veste più da Sissi e nemmeno io da Cappuccetto Rosso. Tommy è morto, ma c'è Argo, suo figlio, che è un gran giocherellone anche se ormai si avvicina ai dodici anni.
Il prossimo anno nello stesso prato dove giocavamo noi correrà la Giulia e io farò finta di scappare, ma mi lascerò acciuffare e mi farò impiastricciare i capelli di schiuma e mi farò riempire il maglione di coriandoli e rideremo insieme. E io sono sicura che, in mezzo alle risate mie e della Giulia, sentirò l'eco lontano di una risata che adesso posso ascoltare solo riguardando un vecchio filmino di Natale, quando io avevo cinque anni e la Veri tre.
Ogni Carnevale che arriva e che passa ripenso a quei Carnevali lì, a quei coriandoli che restavano impigliati nei fili d'erba per giorni e giorni, alla mamma della Veri che a un certo punto smetteva di toglierseli dai capelli perché noi tanto glieli ritiravamo.
Quando penso a lei mi arrabbio, perché i tre anni di malattia mi hanno fatto vedere un volto che non era il suo. E mi arrabbio perché a volte ho l'impressione che, come temeva Montale, la forbice del tempo abbia reciso il suo viso, quello di quando stava bene, dalla mia mente.
A Carnevale questo non succede.
A Carnevale il suo viso per magia mi compare davanti, sorridente, incorniciato da capelli neri e lunghi.
Forse è perché penso ogni anno a quei Carnevali lì che da un po' di tempo questa festa non mi piace più.
Questo è il primo anno in cui mi sono rimascherata dopo tanto, tanto tempo. E anche se non avrei voluto, in fondo in fondo sono stata anche contenta di averlo dovuto fare.